Unilever Italia: La Corte di giustizia europea alza l’onere della prova nei casi di abuso

CGUE 19 gennaio 2023, Causa C-680/20, Unilever Italia c. AGCM

con il UnieverItalia Sentenza del 19 gennaio 2023, Corte di Giustizia Europea (“Corte di giustizia” OTribunale”) apre un nuovo capitolo relativo all’applicazione del test del “concorrente effettivo” (“concorrente effettivo”).Prova dell’AEColtre ad attribuire comportamenti abusivi.

In ciò UnieverItalia La Corte di giustizia europea ha stabilito, per la prima volta, che un comportamento abusivo dei distributori è imputabile a un produttore in posizione dominante se i distributori fanno parte della rete distributiva del produttore dominante e il comportamento attua una politica distributiva che è stata decisa unilateralmente da questo impegno e per la quale i distributori rilevanti vi si attengono.

L’altra novità di questa sentenza è che il tribunale ha sottolineato che le clausole di esclusiva possono avere effetti di esclusione in grado di restringere la concorrenza. La Corte ha spiegato quale onere della prova gravava sulle autorità garanti della concorrenza e ha concluso che l’uso del test AEC non era obbligatorio per un’autorità garante della concorrenza per provare l’abuso di posizione dominante. Tuttavia, l’autorità garante della concorrenza deve stabilire, facendo riferimento a prove concrete, che il comportamento era effettivamente idoneo a restringere la concorrenza in base al merito, in particolare laddove il soggetto dominante ne contesti il ​​carattere offensivo o meno.

In questo articolo forniamo una sintesi della sentenza e una panoramica dell’analisi del Tribunale, e concludiamo con un commento.

Sintesi del giudizio

La sentenza è stata emessa in risposta ai quesiti pregiudiziali del supremo tribunale amministrativo italiano in merito a una sanzione inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato”).AGCM), presso Unilever Italia.

Nell’ottobre 2017, l’AGCM ha multato Unilever Italia per oltre 60 milioni di euro per aver abusato della sua posizione dominante nel mercato italiano per distribuire gelati confezionati singolarmente. La particolarità di tale decisione è stata che la condotta, ritenuta offensiva dall’AGCM, non è stata posta in essere da Unilever Italia stessa ma dai suoi distributori. Sulla base di clausole di esclusiva, i distributori obbligavano i loro clienti al dettaglio ad acquistare (quasi) gelati Unilever. L’AGCM ha sostenuto che il comportamento dei distributori era imputabile a Unilever.

Il tribunale italiano aveva due questioni da sottoporre alla Corte di giustizia europea. In primo luogo, il giudice italiano ha cercato di stabilire se le azioni dei distributori potessero essere imputate al produttore dei prodotti distribuiti da tali distributori. Il secondo quesito di attribuzione riguarda la modalità di valutazione delle voci esclusive da parte dell’AGCM. In particolare, se l’autorità garante della concorrenza sia tenuta a valutare se le clausole abbiano l’effetto di escludere dal mercato concorrenti di pari competenza e se debba effettuare una valutazione complessiva dell’analisi economica presentata dall’impresa (presumibilmente dominante) su tale questione punto.

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La prima domanda: abusi attraverso i distributori

La Corte di Giustizia Europea ha risposto affermativamente al primo quesito, ma ha adottato un approccio diverso da quello proposto dal Tribunale del rinvio. Invece di ampliare il concetto di unità economica, il tribunale ha deciso che il comportamento dei distributori poteva essere attribuito al produttore che deteneva una posizione dominante.

Nel caso in cui il comportamento attribuito all’impresa dominante sia già stato posto in essere da un intermediario facente parte della sua rete distributiva, il comportamento può essere imputato a tale impresa se il comportamento è stato posto in conformità a specifiche istruzioni dell’impresa dominante. Così è avvenuto nel contesto dell’attuazione della politica di distribuzione stabilita unilateralmente che i distributori erano tenuti a rispettare.[1]

Il giudice ha basato la sua risposta principalmente sulla responsabilità speciale di un’impresa in posizione dominante di astenersi da comportamenti idonei a pregiudicare l’effettiva e non falsata concorrenza sul mercato.[2]

Se l’impresa dominante determina unilateralmente la politica distributiva e la impone ai propri distributori da cui deriva l’abuso (in questo caso obblighi di acquisto esclusivo), allora i distributori sono solo uno strumento per attuare la politica commerciale dell’impresa dominante. Inoltre, il fatto che anche gli accordi di distribuzione e di coordinamento contrattuale rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE non pregiudica l’applicazione dell’articolo 102 TFUE. In queste circostanze, la pratica dell’esclusione arbitraria può essere imputata al progetto dominante.[3]

Questione 2 – Onere della prova: Arbitrarietà per clausole di esclusività

La Corte è stata inequivocabile sul fatto che l’uso di clausole esclusive potrebbe essere arbitrario. Infatti, le clausole di esclusiva, come gli sconti fedeltà, costituiscono in sostanza un abuso di posizione dominante.[4]

Questo sembra chiuso nel caso di Unilever. Tuttavia, la prova dell’infrazione sembra richiedere di più perché vi è spazio per la confutazione delle prove da parte dell’impresa dominante. L’impresa dominante avrà la possibilità di contestare l’affermazione secondo cui il suo comportamento è stato idoneo a restringere la concorrenza e, in particolare, di stabilire che i presunti effetti di esclusione non si sarebbero potuti verificare.

Prima di passare alla possibilità per un’impresa dominante di contestare l’onere dell’autorità garante della concorrenza, la Corte ha innanzitutto osservato che l’articolo 102 del TFUE non mira a impedire a un’impresa (dominante) di competere sulla base dei propri meriti quali il prezzo, selezione, qualità o innovazione (“concorrenza basata sul merito”), né è suo dovere mantenere sul mercato concorrenti meno efficienti.[5] Pertanto, non tutti gli effetti di preclusione incidono necessariamente sulla concorrenza.

L’autorità garante della concorrenza deve dimostrare che il comportamento è offensivo.[6] Per fare ciò, l’autorità non ha bisogno di dimostrare che il comportamento abbia effettivamente avuto effetti anticoncorrenziali.[7] È sufficiente dimostrare che il comportamento era idoneo a vincolare la concorrenza sulla base del merito, ma tale constatazione deve basarsi su elementi concreti e quindi non su una mera ipotesi.[8] Inoltre, il comportamento deve essersi verificato, quindi una pratica che rimane “in fase di bozza” e non viene mai eseguita non può essere considerata offensiva.[9]

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In termini di prove, l’autorità garante della concorrenza non può accontentarsi di studi economici, ma deve tener conto di specifiche condizioni di mercato.[10] Né l’intento del pegno dominante può essere decisivo per provare l’abuso.[11] L’esistenza di un intento di esclusione non è un requisito per provare l’abuso.

Il tribunale ha quindi effettuato un confronto tra la valutazione degli articoli esclusivi e la valutazione dei programmi di sconto del periodo più recente Intel Giudizio, in cui entrambi i comportamenti possono essere oggettivamente giustificati o gli effetti negativi (di esclusione) possono essere superati da – o compensati da – competenze a vantaggio dell’utente.[12] Sebbene le clausole esclusive per loro stessa natura sollevino “legittimi problemi di concorrenza”, la loro capacità di escludere dal mercato concorrenti che sono efficienti almeno quanto l’impresa dominante non può essere presupposta automaticamente.[13] Al pari dei sistemi di sconto, occorre analizzare la capacità del comportamento di escludere “almeno altrettanto efficacemente” i concorrenti e dimostrare l’esistenza di giustificazioni oggettive della clausola di esclusiva.

Ciò ha portato il giudice a formulare un onere della prova per l’autorità garante della concorrenza al fine di accertare se, nelle circostanze del caso di specie, clausole di esclusività fossero effettivamente idonee ad escludere dal mercato concorrenti almeno altrettanto efficienti dell’impresa dominante.[14] Se l’impresa dominante adduce giustificazioni al proprio comportamento, l’autorità garante della concorrenza deve valutare concretamente se le clausole possano restringere la concorrenza. In ogni caso, le prove presentate dall’impresa dominante devono essere esaminate dall’autorità garante della concorrenza prima di essere invalidate (motivatamente).[15]

Riguardo alla questione se un’autorità garante della concorrenza debba sempre applicare il criterio AEC, la Corte ha ritenuto che fosse particolarmente appropriato per i comportamenti relativi ai prezzi, cosicché non vi era alcun obbligo giuridico di applicarlo nei casi di abuso.[16] Tuttavia, il tribunale non ha escluso l’uso del test AEC nella valutazione di comportamenti diversi dai prezzi, ad esempio per determinare gli effetti del comportamento in questione.[17] La Corte ha infine concluso che l’applicazione del test AEC era facoltativa per le autorità garanti della concorrenza.[18] Tuttavia, se l’offerente dominante invoca il test, l’autorità garante della concorrenza deve esaminare il valore probatorio delle prove dell’impresa dominante.[19]

commento

La sentenza del tribunale è importante per diversi motivi. In particolare, perché il comportamento abusivo in questo caso non è stato materialmente commesso dalla società dominante stessa, ma dai suoi distributori. Tuttavia, la Corte ha stabilito per la prima volta che il comportamento dei distributori poteva essere attribuito a un produttore in posizione dominante qualora:

  1. I distributori fanno parte della rete di distribuzione del prodotto dominante
  2. Il comportamento dei distributori non è implementato in modo indipendente da questi distributori,
  3. Ma faceva parte di una politica, adottata unilateralmente dal produttore dominante e attuata attraverso i suoi distributori.
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In secondo luogo, la Corte di giustizia europea ha proseguito il ragionamento iniziato nel 2017 Intel.[20] Nel Intel La sentenza della Corte di giustizia europea ha affrontato la questione in che misura il criterio del “concorrente effettivo” sia un fattore rilevante nella valutazione del comportamento abusivo delle imprese dominanti.

La Corte di giustizia europea ha confermato che la sentenza di Intel si applicava non solo ai regimi di sconto ma anche alle clausole di esclusiva – in questo caso si trattava di obblighi di acquisto di esclusiva – applicate dalle imprese dominanti. La Corte rileva che l’uso del test AEC non è obbligatorio per un’autorità garante della concorrenza per stabilire un abuso di posizione dominante.[21] Tuttavia, se un pegno in posizione dominante chiama un sospettato di abuso di prova a contestare un presunto comportamento abusivo, l’autorità garante della concorrenza non può ignorare tale prova senza esaminarne il valore probatorio.[22]

Il punto di partenza è che le clausole di esclusiva imposte (indirettamente) da un’impresa dominante “per loro stessa natura sollevano legittime preoccupazioni sulla concorrenza”.[23] Tuttavia, non tutti gli effetti di esclusione sono necessariamente dannosi per la concorrenza. La corte ha sottolineato che ciò non può essere assunto automaticamente. In particolare, ove l’impegno prevalente si avvalga di obiettive giustificazioni o fornisca prove contrarie per contestare l’esclusione di concorrenti parimenti effettivi, l’autorità garante della concorrenza deve dimostrare, sulla base di tutte le circostanze pertinenti del caso di specie, che la clausola di esclusiva in questione è idonea a limitare la concorrenza.[24]

Questa sentenza di Unilever Italia conferma che non vi è alcuna violazione escludente in quanto tale. Dovrebbe esserci sempre spazio per contestare gli effetti di esclusione o per fornire giustificazioni sostanziali per il comportamento dell’impresa dominante. Se è vero che l’onere della prova gravante su un’autorità garante della concorrenza non si spinge fino a provare che il comportamento abbia effettivamente avuto effetti anticoncorrenziali, l’autorità garante della concorrenza deve dimostrare, sulla base di prove concrete, che il comportamento è stato di fatto idonea a restringere la concorrenza sulla base del merito.[25]

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