stiamo raccogliendo debiti senza aiutare l’economia reale – Il tempo


Franco Bechis

Il sospetto è sorto già qualche giorno fa leggendo i dati un po’ troppo esaltati sulla crescita del Pil italiano nel 2021, quel 6,5% in più rispetto al 2020 che onestamente è difficile da cogliere nella quotidianità. È vero che il confronto era con il primo anno della pandemia e dei suoi lockdown, ma parlando con piccoli imprenditori e commercianti oltre a leggere nel dettaglio altri dati macroeconomici, non è che sia appena passato un periodo di boom particolare.

Ieri l’Istat ha pubblicato una ricerca realizzata a fine 2021 che spiega molto di quello che è successo e sta accadendo all’economia italiana. Si intitola “Le imprese italiane dopo l’emergenza Covid 19”, e raccoglie le risposte fornite da 970.181 imprese (di cui 11.792 chiuse senza alcuna previsione di riapertura) nei settori dell’industria, del commercio e dei servizi che corrispondono al 22,2% del totale italiano imprese, ma producono il 93,2% del valore aggiunto nazionale e danno lavoro a 13,1 milioni di addetti, pari al 75,2% del totale dei dipendenti.

È il cuore del sistema economico italiano ed è quello a cui non si pensa mai regolarmente. Di quel campione, infatti, 753.000 (77,6% del totale) sono quasi invisibili, impiegando tra i 3 ei 9 dipendenti. L’Istat ha chiesto loro molto su uno scatto non così evidente da quell’osservatorio. Ma soprattutto ha chiesto cosa si aspettano da quel fiume di denaro legato al PNRR che sta affluendo nelle casse dello Stato italiano.

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E la risposta non è stata quella che ci si aspetterebbe: “Se niente, pochissimo. Non abbiamo bisogno di tanti soldi, perché legati a obiettivi di spesa e investimento che non fanno parte del nostro core business”. Più della metà quindi non “le considera rilevanti come volano dell’attività”, rileva l’istituto di statistica. Spiega poi: “il giudizio sia sulle misure legate alla transizione ecologica, sia su quelle inerenti alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile, che ovviamente hanno un orizzonte di sviluppo più lontano”.

Se poi si passa al capitolo della digitalizzazione e dell’innovazione, quei fondi sono considerati importanti e interessanti per il proprio business solo dal 17% delle aziende intervistate. I dati cambiano con la crescita delle dimensioni delle aziende, ma anche salendo tra le aziende più grandi, non è che il NRR sia vissuto come il punto di svolta nella propria vita aziendale. La digitalizzazione è considerata di grande importanza solo dal 24,6% delle aziende con 50-249 dipendenti e dal 25,8% tra quelle con più di 250 dipendenti.

La rivoluzione ecologica è considerata ancora meno importante anche in quei due gruppi di aziende più grandi, che la considerano determinante solo in 2 casi su dieci. D’altra parte, il fattore determinante per i due terzi delle piccole imprese è la crescita della domanda interna del loro specifico settore, e lo è anche per le più grandi. Eppure molti di loro, più che accedere al PNR, preferirebbero riavere i prestiti bancari assistiti dalla garanzia pubblica per ridurre il rischio d’impresa.

In quell’indagine c’è indubbiamente anche parte del difetto della struttura imprenditoriale italiana, ancora molto restia a processi di innovazione, digitalizzazione e ancor più ad avviarsi verso quella che viene chiamata la transizione ecologica. Va bene, ma questa è la realtà e non è un piccolo campanello d’allarme. A forza di parlare per slogan come si faceva troppo con il vecchio governo di Giuseppe Conte fino a un anno fa, un po’ meno con quello di Mario Draghi, però, si perde di vista la vita reale degli italiani che lavorano e si impegnano. Ci stiamo pericolosamente riempiendo di debiti (cosa che quasi tutti gli altri paesi europei non hanno fatto) per avere risorse che i protagonisti dell’economia italiana considerano inutili e comunque poco importanti per i loro affari.

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Ovviamente i soldi saranno utilizzati anche dallo Stato per migliorare le proprie infrastrutture e investire in alcuni progetti e per la parte donata dal resto d’Europa non si discute: non si guarda in bocca al cavallo regalo, perché dice il saggio proverbio. Ma è necessario attingere a tutta quella somma di prestiti che impiccheranno questo Paese e chi lo governerà per chissà quanti anni se i principali attori di quel PIL sono convinti di non averne bisogno?

È una riflessione che dovrebbero fare le forze politiche e con esse il presidente del Consiglio Mario Draghi e la sua squadra di ministri. Sarebbe sciocco mettersi nei guai ripetendo inutilmente slogan un po’ vuoti per dimostrare semplicemente di essere “resiliente”, o di aver affrontato questioni difficili per l’industria nazionale come l’innovazione e l’ecologia. Se così non è – e la fotografia Istat lo dimostra chiaramente – è inutile raccontare un mondo che non c’è, ed è invece urgente pensare a ciò che esiste. Molte ricette ideali funzionano con imprese grandi e grandissime che l’Italia non ha, e al massimo si affida alle dita delle mani, non con una microrete di piccole e piccolissime che però è ancora lo scheletro dell’Italia abbiamo oggi. L’urgenza al momento è ancora quella di tamponare le ferite e cercare di non ostacolare in alcun modo quelle poche possibilità che ci sono per alzare la testa come è successo e sta accadendo ad esempio nel settore turistico dove entrano gli stranieri con i loro documenti inutili . , perché poi in Italia con loro non possono dormire in albergo né andare al ristorante.

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