Il digiuno intermittente aiuta chi soffre di diabete di tipo 2 a dimagrire – Buzznews

Uno studio condotto dall’Università dell’Illinois a Chicago ha dimostrato che il digiuno intermittente può aiutare le persone con il diabete di tipo 2 a perdere peso e controllare i livelli di zucchero nel sangue. La ricerca coinvolgeva un totale di 75 partecipanti, suddivisi in tre gruppi diversi. Un gruppo ha seguito il digiuno intermittente con una finestra di pasti tra le 12 e le 20 senza restrizioni caloriche, un altro gruppo ha ridotto l’apporto calorico giornaliero del 25%, mentre il terzo gruppo è stato utilizzato come gruppo di controllo.

Entrambi i gruppi di studio hanno registrato una riduzione simile dei livelli di zucchero nel sangue, ma il gruppo che ha seguito il digiuno intermittente è riuscito a perdere più peso rispetto all’altro gruppo. Secondo i ricercatori, le persone che hanno seguito il digiuno intermittente hanno spontaneamente ridotto le quantità di cibo consumato, nonostante non fosse loro prescritto, mentre coloro che seguivano una tradizionale dieta ipocalorica hanno avuto più difficoltà a mantenerla.

Un aspetto importante è che durante lo studio non sono stati segnalati eventi avversi gravi e non c’erano differenze significative nei casi di ipoglicemia o iperglicemia tra i gruppi che hanno seguito una dieta specifica e il gruppo di controllo.

Interessante è anche la composizione del campione dello studio, con oltre la metà dei partecipanti di origine afroamericana e il 40% di origine ispanica, due gruppi considerati ad alto rischio per il diabete di tipo 2. Nonostante i risultati positivi, i ricercatori consigliano comunque a tutte le persone con diabete di tipo 2 di consultare il proprio medico prima di intraprendere il digiuno intermittente.

Da ispirazione a curiosità, il digiuno intermittente sembra offrire la possibilità di ridurre i fattori di rischio legati alle malattie croniche, come le malattie cardiovascolari, l’obesità, il diabete di tipo 2, i tumori e le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per confermare questi risultati e comprendere appieno i meccanismi che stanno alla base di questi benefici.

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